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Covid-19: è possibile riutilizzare i DPI monouso?

L’emergenza legata al Covid-19 è purtroppo segnata, non solo in Italia, da una grave carenza di disponibilità e difficoltà di fornitura di DPI.

Si è al punto che sono attualmente oggetto di studio metodiche che consentano il riutilizzo dei DPI già in possesso.

Una attenzione particolare va posta in relazione alla necessità di protezioni per quelle categorie di lavoratori per le quali non è stato possibile applicare il lockdown. Queste hanno continuato a lavorare con conseguente rischio di contagio, esteso anche ai loro familiari.

Si pensi al personale sanitario della sanità pubblica o privata. Questo ha pagato, dal febbraio 2020, il prezzo più alto considerando le conseguenze dell’emergenza. Ma anche ai lavoratori della protezione civile o del comparto sicurezza e della filiera alimentare.

L’obiettivo che bisogna perseguire è il raggiungimento della massima tutela possibile del personale. Dotandolo, in base alle evidenze scientifiche. Come previsto anche dal dpcm 26 aprile 2020. Di DPI di livello adeguato al rischio professionale a cui viene esposto.

In questo contesto le varie agenzie si sono allineate sull’uso in “sicurezza” delle mascherine chirurgiche, nei casi di assenza. Ovvero scarsa disponibilità di filtranti facciali (FFP). Fatta eccezione per le attività che prevedano manovre e procedure a rischio di generare aerosol. Per queste infatti risulta necessario l’impiego dei FFP.

A presentare in questi termini le problematiche e le criticità dell’uso di idonei dispositivi di protezione (DPI) è un documento prodotto dalla Direzione Centrale di Sanità. Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno. Una sorta di manuale che, curato da Cristiano Belfiore, è ad uso delle attività della Polizia di Stato.

L’adozione di appropriate misure di prevenzione e analisi da Covid-19

Si sottolinea che il ricorso ai DPI disponibili non può, comunque, prescindere dalla adozione di appropriate misure di prevenzione, tra cui:

  • lavare le mani frequentemente con acqua e sapone o, se questi non sono disponibili, con soluzioni/gel a base alcolica. In ambito sanitario è raccomandato l’uso preferenziale di soluzioni/gel a base alcolica. Questo per consentire l’igiene delle mani in tutti i momenti in cui essa si rende necessaria;
  • evitare di toccare gli occhi, il naso e la bocca con le mani;   
  • tossire o starnutire all’interno del gomito con il braccio piegato o di un fazzoletto, meglio se monouso, che poi deve essere subito eliminato;
  • indossare la mascherina chirurgica nel caso in cui si abbiano sintomi respiratori ed eseguire l’igiene delle mani dopo avere rimosso ed eliminato la mascherina;
  • evitare contatti ravvicinati, mantenendo la distanza di almeno un metro dalle altre persone, in particolare con quelle con sintomi respiratori;
  • coordinare la gestione della catena di fornitura dei DPI.

Altre indicazioni

E tutti i lavoratori coinvolti dovrebbero:

  • essere formati ed aggiornati in merito ai rischi di esposizione professionale, alle misure di prevenzione e protezione disponibili ed al corretto uso dei DPI;
  • se operatori sanitari. Bisogna essere formati ed aggiornati sulle specifiche del quadro clinico di Covid-19. Ciò al fine di eseguire lo screening dei pazienti. Questo consente la valutazione quanto più rapida possibile dei casi sospetti;
  • utilizzare i DPI adeguati, non riutilizzarli se monouso e smaltirli negli appropriati contenitori per rifiuti”.

Si ricorda poi che il D.Lgs 81/2008 indica che la scelta dei DPI più appropriati può essere effettuata solo in seguito alla analisi delle attività da svolgere. Nonché dei rischi associati e del grado di protezione necessaria. In ogni valutazione si dovrà coniugare il giusto livello di protezione con l’efficienza e l’operatività. 

Segnaliamo che anche nella nuova versione (24 aprile) del Protocollo condiviso delle misure per il contrasto al Covid-19 si scrive questo.

Cioè che nella declinazione delle misure del Protocollo all’interno dei luoghi di lavoro. Sulla base del complesso dei rischi valutati. A partire dalla mappatura delle diverse attività dell’azienda. Si adotteranno i DPI idonei.

È previsto, per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni, l’utilizzo di una mascherina chirurgica. Ricordiamo anche la presenza di uno specifico protocollo per la prevenzione e la sicurezza dei lavoratori della sanità.

Le prove fatte sui dispositivi di protezione

Il documento del Ministero dell’Interno, si sofferma sui vari dispositivi di protezione. Ciò anche con riferimento alle mascherine chirurgiche. Nonché alle mascherine FFP.

Affronta poi il delicato tema della eventuale pulizia delle mascherine monouso (FFP).

Si indica che le mascherine di protezione sono concepite per un uso singolo e solitamente sono scartate dopo l’uso. Possono però anche essere considerate dispositivi ad uso limitato.

Cioè possono essere riutilizzati per un periodo di tempo limitato. Ciò a meno che non vi sia un rischio di inquinamento attraverso la deposizione di particelle infettive sulla superficie.

In particolare le FFP devono essere eliminate quando si sporcano di fluidi corporei o si bagnano. Ovvero non possono più essere indossate.

Ancora, se la respirazione attraverso il respiratore diventa difficile, così come accade dopo essere state utilizzate in procedure che generano aerosol, considerate fortemente contaminanti. Ad esempio intubazione.

Ma anche estubazione o broncoscopia. Nonché induzione di espettorato, terapie in grado di generare aerosol. Ovvero NIV, BiPAP, CPAP o tampone.

Si segnala poi che finora, le aziende produttrici non hanno avuto motivo o incentivo a sviluppare metodi di pulizia o introdurre mascherine che possono essere riusate.

Tuttavia in un contesto emergenziale quale quello di una pandemia in cui vi è un evidente squilibrio tra domanda e offerta di questi dispositivi. Potrebbe verificarsi la necessità di mettere a punto strategie di pulizia che le rendano nuovamente indossabili.

Ciò anche perché il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 è in grado di sopravvivere nell’ambiente, anche su superfici di vari materiali come ferro, cartone e tessuto. Questo è il motivo per il quale la superficie esterna delle mascherine può rapidamente contaminarsi, comportando un rischio di infezione indiretto quando si riutilizzino o maneggino dopo l’uso.

Le indicazioni del documento

Il documento presenta il risultato di vari studi riguardo ad un eventuale riutilizzo. Questo in alcuni rapporti è comunque sconsigliato. Si riportano alcuni sistemi testati sui FFP usate tra cui:

  • Uno studio commissionato dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti che ha dimostrato che il vapore di perossido di idrogeno (HPV) è stato efficace nella pulizia della mascherina N95 (FFP2) da un singolo organismo, per cicli multipli di pulizia. La mascherina ha mantenuto la sua funzione anche dopo 10-20 cicli di HPV, ma ha mostrato segni di degradazione.
  • In una ricerca, condotta nei Paesi Bassi, sulle possibili strategie da applicare alle maschere FFP2. Il vapore di perossido di idrogeno è stato considerato efficace per due cicli di pulizia senza deformazione.
    Mantiene la capacità di filtrazione. Dunque si conclude che le maschere senza cellulosa possono essere riutilizzate fino a due volte. Sono state, tuttavia, documentate concentrazioni nocive di perossido di idrogeno che possono rimanere sulla maschera per giorni dopo la pulizia.

Si segnala che per quanto riguarda l’utilizzo del vapore, procedura di solito utilizzata negli ospedali. Questa è stata esclusa tra le possibilità. Ciò poiché le mascherine FFP2 si deformavano dopo il trattamento con vapore a 134 °C e non potevano più essere usate.

In merito alla irradiazione gamma con 25kGy. Si tratta di un metodo comunemente usato su larga scala su dispositivi medici e prodotti alimentari. Tuttavia l’attrezzatura necessaria non è comunemente disponibile negli ospedali. Questa non ha mostrato alcuna deformazione della maschera FFP2, ma il test di adattamento al viso dopo il processo di pulizia non è stato superato (risultati aggiornati al 20 marzo 2020).

Sono stati considerati anche altri metodi come la pulizia dell’ozono. L’irradiazione germicida ultravioletta. Nonché l’ossido di etilene. I dati disponibili però non sono sufficienti per trarre conclusioni scientifiche accettabili.

Covid-19

È insomma necessario rivedere la gestione del lavoro per ridurre il consumo improprio ed eccessivo di DPI, quale strategia per far fronte alla loro carenza.

In ambito sanitario. In cui il rischio di contagio è più elevato. Sono funzionali strategie di raggruppamento e programmazione delle attività assistenziali al letto del paziente.

Così da minimizzare il numero di ingressi nella stanza.

Ad esempio, controllo dei segni vitali durante la fornitura di farmaci. Oppure distribuzione del cibo ad opera di un operatore sanitario che deve eseguire altri atti assistenziali.

Conclusioni

È preferibile l’uso della stessa mascherina chirurgica o del filtrante per l’assistenza di più pazienti Covid-19 riuniti nella stessa stanza. Purché la mascherina non sia danneggiata, contaminata o umida.

Il contatto ravvicinato può configurarsi in attività routinarie come il giro visita dei medici. Ovvero durante il cambio dei letti e l’assistenza.

Ma anche nel contesto dei servizi di ‘polizia’. Per esempio durante un turno in volante. In queste condizioni i filtranti possono essere utilizzati per un tempo prolungato, fino a 6 ore (WHO).