Rischi e valutazione Covid-19. E’ necessario?
In merito alla valutazione dei rischi per garantire la sicurezza sul lavoro proseguiamo la nostra analisi iniziata con lo studio preliminare delle fonti normative ed in particolare dell’art 2087 cc.
Orientamenti del ministero della Salute sulla valutazione dei rischi da Covid-19
In tema di rischi esogeni recentemente è intervenuto il ministero della Salute con la già citata circolare 3 febbraio 2020, n.3190. Questa fornisce una serie d’indicazioni e di precauzioni per i datori di lavoro e i lavoratori, che vanno considerate, però, anche alla luce dei più recenti D.P.C.M. 11 e 22 marzo 2020 e delle ordinanze regionali e delle autorità locali.
Il ministero, infatti, nel rispondere alle richieste di chiarimenti “circa i comportamenti da tenersi da parte degli operatori che, per ragioni lavorative, vengono a contatto con il pubblico”,ha emanato una serie d’indirizzi riguardanti sia la valutazione dei rischi da coronavirus, sia le “misure di prevenzione” da mettere in atto, seguendo però una linea interpretativa dell’obbligazione di sicurezza gravante sul datore di lavoro che, invero, non appare del tutto pienamente condivisibile.
Bisogna premettere che questo provvedimento riguarda specificamente la tutela degli “operatori dei servizi/esercizi a contatto con il pubblico”.
I termini usati in questa espressione sono, tuttavia, molto generali. Si fa infatti riferimento non solo ai lavoratori. Bensì anche a tutti coloro che, comunque, svolgono un’attività per conto di un’organizzazione (ad esempio, ai volontari) che li pone a contatto con il pubblico.
Più nel dettaglio…
Il punto più critico di questo provvedimento, però, è la precisazione che “Con riguardo, specificatamente, agli operatori di cui all’oggetto si rappresenta preliminarmente che, ai sensi della normativa vigente (d. lgs. 81/2008), la responsabilità di tutelarli dai rischi biologici è in capo al datore di lavoro, con la collaborazione del medico competente”.
Appare evidente, quindi, che il ministero sembra scaricare direttamente, tout court, ogni responsabilità sulla generalità dei datori di lavoro, chiamando in causa il regime protettivo del D.Lgs. n. 81/2008, senza operare quel necessario distinguo tra le diverse attività.
Ora, se è vero che nel D.Lgs. n. 81/2008, è accolta una nozione molto ampia di “salute”. Intesa questa come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità” [art. 2, comma 1, lettera o)].
Nonché che l’art.28, comma 1, dello stesso decreto stabilisce che il datore di lavoro ha l’obbligo di valutare i rischi e tale valutazione “deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli (…) riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi”.
Va anche tenuto presente che il D.Lgs. n. 81/2008, detta una disciplina molto particolare e articolata in materia di agenti biologici.
Le criticità nella valutazione dei rischi biologici
In particolare, l’art. 266 stabilisce che le disposizioni del titolo X “si applicano a tutte le attività lavorative nelle quali vi sono rischi di esposizione ad agenti biologici”, mentre l’art. 271 obbliga il datore di lavoro a classificare gli agenti biologici in uno dei quattro gruppi previsti dall’art. 268, e a valutare i rischi tenendo conto “di tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell’agente biologico e delle modalità lavorative”.
A ciò si accompagna, poi, l’obbligo d’integrazione del documento di valutazione dei rischi con una serie d’informazioni previste dall’art. 271, comma 5, come, ad esempio:
- le fasi del procedimento lavorativo che comportano rischi di esposizione ad agenti biologici;
- il numero dei lavoratori addetti alle fasi a rischio;
- i metodi e le procedure lavorative adottate, nonché le misure preventive e protettive applicate.
Inoltre, come ricordato dall’Inail la valutazione dei rischi deve tener conto anche “delle eventuali ulteriori situazioni rese note dall’autorità sanitaria competente che possono influire sui rischi” [art. 271, comma 1, lettera e)], “com’è l’attuale situazione di emergenza epidemica da Sars-CoV-2”.
Risulta evidente, quindi, che, allo stato attuale, appare molto difficoltoso per il datore di lavoro compiere questa valutazione, anche per le attuali incertezze regnanti a livello scientifico e l’assenza di un vaccino. Si tratta, però, di un passaggio previsto da tali norme che richiede la massima attenzione, specie nel caso delle attività nelle quali per ragioni lavorative si realizza l’esposizione al virus come, ad esempio, quelle sanitarie.
Conclusioni
Concludiamo qui per ora questo approfondimento. Come sempre, vi invitiamo a registrarvi alla nostra newsletter sicurezza sul lavoro per restare sempre aggiornati!