sanzioni penali

Sanzioni penali in materia di sicurezza e D.Lgs 758/94

Analizziamo di seguito una interessante sentenza che tocca il D.Lgs 758/94 in relazione alle sanzioni penali in materia di sicurezza sul lavoro.

Con la sentenza Sez. Fer., 28 settembre 2020, n. 26813. La Corte di Cassazione ha evidenziato e censurato alcune paradossali condotte di datori di lavoro che non si adeguavano alle prescrizioni della competente autorità in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Tali inadempimenti, infatti, rischiavano di diventare arbitrario strumento di difesa in sede penale. Sul punto, comunque, il dibattito è aperto.

In materia, dobbiamo ricordare innanzitutto il peculiare meccanismo previsto dal D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758. Questo riguarda le modifiche alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro.

Le sanzioni penali in materia di sicurezza sul lavoro

Il complesso sistema delle sanzioni in materia di Sicurezza e Salute sul lavoro, merita un approfondimento dettagliato. Questo riguarda, in relazione al diverso grado di responsabilità, pressoché tutte le figure coinvolte nel Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale. Datore di lavoro e non solo.
Per meglio comprendere come è articolato il sistema sanzionatorio è opportuno innanzitutto ricapitolare le diverse tipologie di Responsabilità, come previste dal sistema giuridico. Di conseguenza le relative sanzioni applicabili ai diversi casi.

La normativa italiana prevede tre categorie di responsabilità giuridica. Penale, Civile ed Amministrativa. All’interno delle categorie vi è poi una distinzione tra responsabilità individuali che possono essere di tipo soggettivo e di tipo oggettivo.

Nel primo caso il soggetto è responsabile, e dunque sanzionabile, per atti di tipo colposo o doloso commessi direttamente. Nel secondo caso invece il soggetto è tenuto a rispondere anche del danno commesso da altri, in considerazione della posizione occupata.

Un esempio è il caso in cui un genitore risponde di un danno causato da un minore. Oppure in situazioni attinenti alla sicurezza sul lavoro, il caso in cui un datore di Lavoro o un funzionario, in virtù della posizione gerarchica aziendale, sia tenuto a rispondere del comportamento di propri collaboratori.

Responsabilità giuridica penale

E’ sempre di tipo esclusivamente soggettivo. Le sanzioni definite nel Codice Penale, previste per delitti e contravvenzioni colpiscono il soggetto individuale. Prevedono pene di tipo detentivo, pecuniario o applicazioni di tipo accessorio (sospensioni, interdizioni e divieti).

A questo proposito è opportuno ricordare che all’interno del complesso Sistema di Gestione definito dal D.Lgs 231/01 in materia di Responsabilità amministrativa delle società e degli enti.

Nell’art 25 viene estesa la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica ai reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ad esempio quali omicidio colposo e lesioni personali colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Reati questi definiti dagli articoli 589 e 590 del Codice Penale.

Il D.Lgs 758 e la gestione delle sanzioni penali

Per le sanzioni irrogate in tale ambito, l’art. 24 di tale decreto dispone in modo chiaro una cosa. Cioè che la contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza nel termine ivi fissato.

Nonché provvede al pagamento previsto dall’art. 21, comma 2.

In tale decreto, lo ricordiamo, si prevede infatti che la competente Autorità. Nel momento in cui rileva una violazione, emetta al datore di lavoro una prescrizione. In questa lo si invita a sanare la propria irregolarità nel termine “tecnicamente necessario” (art. 20, comma 1).

Contestualmente, ove il fatto costituisca reato, la relativa notitia criminis viene comunicata al Pubblico Ministero. Entro e non oltre i 60 giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’Autorità verifica se si sia proceduto alla regolarizzazione (art. 21, comma 1).

In caso affermativo, viene irrogata una sanzione pari a un quarto del massimo dell’ammenda prevista per la contravvenzione commessa (art. 21, comma 2).

A fronte del pagamento della relativa somma, viene effettua al Pubblico Ministero relativa comunicazione e il procedimento penale si estingue.

Regolarizzazione fuori tempo massimo e criticità

Quando invece la regolarizzazione non è stata effettuata nei termini prescritti. Ovvero quando la sanzione amministrativa così ridotta non è stata pagata, naturalmente il procedimento penale prosegue. Orbene, tale meccanismo, si è talora offerto a paradossali strumentalizzazioni da parte dei datori di lavoro inadempienti.

Tali strumentalizzazioni consistono in due aspetti principalmente. Anzitutto è possibile per il datore di lavoro non adempiere alla regolarizzazione prescritta. In seconda battuta è possibile difendersi in sede penale sostenendo che il concorso tra sanzione amministrativa (non ridotta, visto che non vi è stato adempimento) e il procedimento penale violi il principio del ne bis in idem.

Investita della questione, la Suprema Corte ha censurato tali prassi. In Cass. Pen., Sez. IV, 28 settembre 2020, n. 26813, si sancisce infatti che il meccanismo che abbiamo qui sopra descritto non costituisce violazione del ne bis idem.

Nota infatti la sentenza citata che appaiono inconferenti le censure in ordine alla presunta violazione del principio del ne bis in idem. Atteso che il meccanismo prefigurato dal D.Lgs. n. 758/1994.

Proprio alla luce della richiamata esigenza di assicurare l’effettività dell’osservanza delle cautele preventive in tema di sicurezza sul lavoro. E’ volto proprio a evitare duplicazioni punitive.

Infatti si prevede, anche in un’ottica deflattiva, la possibilità di evitare l’inizio del procedimento penale. Sempreché siano rispettate dal trasgressore le prescrizioni impartite. Nonché sia di seguito operato dall’interessato il versamento della sanzione pecuniaria.

La sanzioni penali in materia di sicurezza

In altre parole, spetta proprio al datore di lavoro evitare di essere punito due volte. Come? Semplice! adempiendo puntualmente e scrupolosamente alle prescrizioni impartitegli.

Non ha quindi senso che egli ometta di adempiere, sostenendo poi di essere stato punito due volte. La doppia punizione. Cioè la sanzione amministrativa più la sanzione penale.

E’ invece conseguenza giuridica dell’inadempimento. Quanto abbiamo appena detto, ne siamo perfettamente coscienti, non è pacifico dal punto di vista dogmatico.

In tale ottica, si può effettivamente sostenere che vi siano due diverse punizioni per il medesimo reato. Il descritto meccanismo estintivo rappresenta infatti un qualcosa di ulteriore rispetto al meccanismo sanzionatorio di base. E’ dunque lecito argomentare che la sua mancata attivazione non dovrebbe comunque dare luogo a duplicazioni sanzionatorie.

In tal senso, non sarebbe lecito sostenere che la sanzione penale rappresenti, per così dire, un’ulteriore pena. Questo per chi, dopo aver violato le norme vigenti, non ha neppure adempiuto alla prescrizione impartitagli.

Una simile interpretazione della norma incriminatrice non è infatti assolutamente consentita in sede penale. Laddove vigono i principî di certezza della pena e del divieto di interpretazione analogica.

Riteniamo dunque che, nonostante la citata presa di posizione della Cassazione, il dibattito su tale questione resti aperto. Su un piatto della bilancia, lo stretto principio di diritto. Sull’altro, la volontà legislativa di incoraggiare l’adempimento delle prescrizioni irrogate. Evitando altresì che, come visto sopra, l’inadempimento di tali prescrizioni divenga paradossale argomento difensivo in sede penale.