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Contagi: applicare i protocolli anti Covid tutela il datore

Le ferie estive stanno ormai finendo ma il “pericolo” coronavirus prosegue. Nelle ultime 24 ore secondo i dati si sono registrati ancora contagi e nuovi casi di coronavirus. Crescono ancora i contagiati e le persone attualmente positive.

Dunque e rispetto a ieri per i nuovi positivi si tratta dell’ aumento più alto dall’inizio delle vacanze di agosto. Dall’inizio della pandemia i casi totali in Italia sono oltre 253mila.

La situazione contagi in Italia

Per il momento non si registra ancora l’emergenza di marzo in terapia intensiva ed i casi di isolamento domiciliare sembrano arginare bene il diffondersi del contagio. I nuovi focolai sono tenuti sotto osservazione grazie alla protezione civile.

Dunque se da un lato si registra l’ aumento più alto di nuovi contagi nelle ultime settimane. Bisogna anche dare atto alle Regioni di aver contrastato il diffondersi del virus.

Tra queste in particolare quelle più colpite quali la Lombardia o l’ Emilia Romagna. Ciò grazie anche alle misure adottate con i vari DPCM e circolari dal 14 agosto ed anche prima. Nonché con l’indicazione dei paesi a rischio e le conseguenti misure previste.

Cosa deve fare il datore per tutelarsi dai contagi sul lavoro?

Con la conversione in legge del Dl 23/2020, il legislatore ha tentato di fornire una pur limitata risposta alle pressanti richieste delle imprese. Queste infatti chiedono di assicurare una qualche forma di tutela ai datori di lavoro rispetto al rischio di subire imputazioni penali.

Ovvero richieste risarcitorie da parte dei lavoratori a causa del contagio da Coronavirus. Stante l’estrema difficoltà, soprattutto nella prima fase della diffusione del contagio. Di fare riferimento a misure specifiche per i luoghi di lavoro.

Ovvero comunque nella grande difficoltà di stabilire se un lavoratore avesse di fatto subito il contagio sul posto di lavoro. A causa di carenze dell’azienda, oppure altrove.

Ad alimentare le polemiche datoriali aveva contribuito la disposizione dell’articolo 42 del Dl 18 del 17 marzo (il cura Italia). Questa indicava che nei casi accertati. Anche in base a presunzioni semplici. Di infezioni da Coronavirus in occasione di lavoro, questi eventi sono da qualificare come infortuni sul lavoro.

La circolare Inail del 20 maggio aveva cercato di portare chiarezza sul punto, senza tuttavia fugare i legittimi timori di parte datoriale.

La conversione del Dl 23/2020

Con l’articolo 29-bis della legge di conversione del Dl 23/2020. Pur non prevedendo una norma di salvaguardia penale di carattere generale, il legislatore ha affermato un principio importante in chiave di tutela del datore di lavoro.

Cioè che ai fini della tutela contro il rischio di contagio da Covid-19, adempiono all’obbligo di garantire la sicurezza dei lavoratori previsto dall’art. 2087 cc mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso sottoscritto il 24 aprile 2020, e negli altri protocolli previsti dall’art. 1, comma 14, del Dl 33 del 16 maggio 2020, nonché tramite l’adozione e il mantenimento delle misure qui previste.

Se non trovano applicazione queste prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o negli accordi di settore stipulati dalle parti sindacali e datoriali.

La norma di chiusura con l’art. 2087 cc e la novità in merito al Covid-19

La previsione è importante perché l’ art 2087 del cc è una norma di chiusura del sistema di sicurezza. In base a questa l’imprenditore è tenuto a gestire l’impresa anche dal punto di vista della sicurezza. In particolare deve adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Senza tuttavia specificare quali misure devono concretamente essere adottate.

Questa norma è spesso utilizzata anche in campo penale per contestare l’eventuale carenza del sistema di sicurezza adottato dal datore di lavoro.

Ora il legislatore. In relazione al rischio contagio Covid. Per la prima volta statuisce uno strumento attraverso il quale il datore di lavoro può dimostrare di aver adempiuto al proprio obbligo di tutelare i lavoratori.

Questo è rappresentato dall’adozione e dall’efficace mantenimento delle misure previste in primo luogo nel Protocollo Condiviso del 24 aprile. Nonché nei protocolli di filiera (ad esempio edilizia, logistica, trasporti). Ovvero nei protocolli e nelle linee guida adottate dalle singole regioni o dalla Conferenza Stato – Regioni (o dalle Province autonome).

Dunque, non si tratta di una clausola di piena salvaguardia. Bensì di una disposizione sicuramente di grandissimo impatto anche sul piano della tutela penale.

Ciò poiché il datore di lavoro. In caso di contestazione. Potrà contrapporre alla eventuale imputazione o richiesta risarcitoria la dimostrazione di aver adottato e applicato in modo rigoroso i protocolli previsti.

L’importanza dei protocolli

L’adozione dei protocolli è peraltro stata posta alla base della riapertura o della prosecuzione di alcune attività, da parte del Dpcm 26 aprile 2020. In esso infatti sono stati previsti come allegati il Protocollo di carattere generale del 24 aprile 2020. Nonché le linee guida per cantieri, trasporti e logistica e trasporto pubblico.

Mentre i protocolli per diverse attività che hanno ricevuto il via libera in seguito sono stati predisposti con indicazioni specifiche anche su base regionale. Ad esempio ristorazione, acconciatura, balneazione, strutture ricettive e molte altre. Infine, il Dl 33/2020 ha ribadito che il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.