Obbligo di repechage, come deve regolarsi il datore?
Analizziamo insieme il tema dell’obbligo di repechage che spesso è intrecciato con problematiche di sicurezza sul lavoro. Parliamone insieme.
L’obbligo di repechage
L’ obbligo di repêchage è di fondo quel principio in base al quale il datore di lavoro di una azienda è chiamato a fare una attenta valutazione. Cioè, prima di procedere con il licenziamento del lavoratore, deve valutare la possibilità di adibirlo ad altre mansioni.
Questo chiaramente nel caso in cui il lavoratore sia in esubero. Oppure sia divenuto non idoneo alla mansione in seguito all’attività di sorveglianza sanitaria portata avanti dal medico competente.
Un aspetto che dunque emerge subito in modo chiaro è il fatto che l’obbligo di repechage è intimamente legato al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Un’altra cosa che emerge subito è il “difficile” rapporto che deriva tra il diritto al lavoro e la libertà di impresa nel rispetto di questo obbligo. I diritti appena nominati infatti sono entrambi tutelati a livello costituzionale. Dunque sicuramente si tratta di diritti molto importanti.
Da un lato appare giusto, in generale, il fatto che il datore di lavoro non possa procedere al licenziamento “indiscriminato” ogni qualvolta lo ritenga opportuno. D’altro canto l’azienda, esercitando il proprio diritto, ben potrà sopprimere una posizione lavorativa. Ovvero rivedere i propri assetti organizzativi con tutte le conseguenze del caso.
Sicuramente infatti l’ organizzazione aziendale è cosa che il datore di lavoro deve poter gestire, nei limiti del rispetto delle leggi, nel modo che meglio crede.
Come è possibile conciliare le cose?
Andiamo dunque a vedere in dettaglio cosa si intende per “obbligo di repechage” e quale sia il modo corretto di gestirlo nel rispetto dei diritti sopra indicati. Chiaramente portiamo avanti questa analisi prendendo in considerazione la situazione più vicina alle nostre competenze.
Stiamo cioè parlando di una sopravvenuta non idoneità alla specifica mansione lavorativa. In questo caso, da un lato, si segue il principio che vuole che il posto di lavoro sia “sacro”.
Di conseguenza il datore di lavoro deve fare tutto il possibile per garantire la prosecuzione del rapporto di lavoro. Quindi dovrà garantire che, in caso di licenziamento, ha fatto tutto il possibile per evitarlo.
Ciò detto, d’altro canto, si pone la domanda di quale sia il livello a cui il datore di lavoro debba spingersi. Cioè in che misura l’obbligo di repechage sancito dalla norma può e deve impattare le scelte aziendali?
A riguardo infatti non appare ragionevole pretendere dall’azienda che questa si attivi ad ogni costo per trovare un posto di lavoro all’ interno dell’ azienda al lavoratore divenuto non idoneo alla mansione.
La Cassazione sul tema dell’obbligo di repechage
Proprio su questo tema è possibile fare riferimento alla sentenza della Cassazione nr. 31521/2019 che offre degli utili spunti di riflessione. La sentenza in parola infatti chiarisce che l’obbligo di repechage ha comunque un limite.
Questo è dato dal fatto che la ricerca della soluzione deve essere portata avanti comunque in modo tale da non comportare rilevanti modifiche organizzative. Ovvero ampliamento di organico. O comunque innovazioni strutturali non desiderate dal titolare.
La chiave ed il limite dell’obbligo di repechage, in base a quanto detto, sono insite nel buon senso. Ciò nel senso che non si può pretendere dall’azienda uno sforzo illogico e non voluto tale da implicare una variazione dell’organizzazione aziendale o oneri economici ed organizzativi sproporzionati.
Come procedere nel rispetto dell’obbligo di repechage
Ai sensi di questo principio, prima di licenziare il lavoratore, si dovrà verificare che non siano presenti mansioni equivalenti. Ovvero mansioni comunque riconducibili allo stesso livello di inquadramento delle ultime attività effettivamente svolte.
Una volta fatto ciò si dovranno passare in rassegna le mansioni inferiori. Ciò per verificare che non sia possibile adibire il lavoratore ad una di queste mansioni. Infatti l’orientamento giurisprudenziale a riguardo è chiaro e riassumibile come segue. L’interesse alla conservazione del posto di lavoro prevale su quello del mantenimento dei livelli di professionalità del lavoratore.
A sugellare questo principio legato all’obbligo di repechage è intervenuta anche la modifica introdotta nell’ articolo 2103 cc. Questa di fatto tollera e prevede in modo chiaro la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni inferiori. Nello specifico, ai sensi della norma, questo può avvenire a condizioni particolai.
La prima possibilità è quella che prevede un iter unilaterale legato alla modifica dell’organizzazione aziendale che impatta la posizione lavorativa. In tal caso è possibile assegnare il lavoratore a mansioni inferiori.
L’altra possibile strada è quella di procedere con un accordo in sede protetta. Tutto ciò nel caso in cui si operi, in buona sostanza, nell’interesse della conservazione del posto di lavoro.
Ricapitolando dunque, qualora sopraggiungesse una non idoneità alla specifica mansione lavorativa, il datore di lavoro, anche per evitare che il lavoratore impugni il licenziamento, dovrà seguire l’iter sopra descritto. Avendo cura chiaramente di poter dimostrare tutto questo iter in ogni momento.
Su chi ricade l’onere della prova?
Ad ogni modo nel caso in cui il lavoratore dovesse impugnare il licenziamento sarà cura del datore di lavoro dimostrare la correttezza di tale licenziamento. Proprio per questo motivo in precedenza suggerivamo di avere la premura di poter dimostrare l’iter seguito. Nello specifico il datore di lavoro dovrà aver cura di esporre in modo adeguato le motivazioni che hanno portato al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Dovrà inoltre dimostrare il nesso causale tra la posizione lavorativa del lavoratore licenziato ed il motivo che è stato avanzato in relazione al licenziamento. A corollario poi delle due attività appena esposte dovrà infine dimostrare il rispetto dell’obbligo di repechage.
Limiti dell’onere della prova
Tuttavia anche l’onere della prova incontrerà dei limiti. Questi sostanzialmente sono delineati dalle sentenze giurisprudenziali. La Cassazione ha più volte ribadito che la chiusura del rapporto di lavoro si configura come l’estrema ratio.
Chiaramente la verifica dovrà essere condotta riferendosi alle condizioni aziendali in essere all’epoca del licenziamento. Inoltre, l’onere della prova in capo al datore di lavoro non finisce qui. Sarà opportuno verificare anche che per un adeguato lasso di tempo l’azienda non abbia fatto nuove assunzioni nella stessa posizione del lavoratore licenziato.
Inoltre, per quanto detto appare chiaro che l’obbligo di repechage vada esteso a tutta l’azienda e non al solo reparto cui era addetto il lavoratore. Addirittura, ma su questo la giurisprudenza ha fornito delle indicazioni ondivaghe, si può arrivare a ritenere che tale analisi debba estendersi anche alle società facenti parte dello stesso gruppo aziendale.
A sugellare tale aspetto, particolarmente gravoso per l’azienda, la giurisprudenza ha precisato però che spetta al lavoratore licenziato dimostrare l’esistenza di tutta una serie di cose. Si tratta di una serie di condizioni tutt’altro che banali.
Vi dovrà infatti essere una integrazione tra le attività svolte dalle varie imprese del gruppo. Inoltre bisognerà dimostrare l’esistenza di una forma di coordinamento tale da individuare un unico soggetto direttivo.
Infine, non per ultimo, bisognerà dimostrare il contemporaneo impiego del lavoratore da parte delle varie società. Sarà solo la presenza di tutti questi elementi, rigorosamente provata dal lavoratore, che sarà oggetto del prudente apprezzamento del giudice.
Conclusioni
In definitiva dunque il suggerimento che diamo a tutti i datori di lavoro è quello di valutare e ponderare con grande attenzione questo aspetto prima di procedere con un licenziamento. Come sempre, ti invitiamo a registrarti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle ultime novità!