distanza di sicurezza

Distanza di sicurezza: il ruolo del datore di lavoro

Distanza di sicurezza inter personale, uso di adeguate protezioni, lavarsi le mani frequentemente. Giustamente ormai tutte queste cose dovrebbero esserci familiari.

Ma sul lavoro come le applichiamo? Con gli ultimi decreti come sappiamo sono stati individuati i codici Ateco delle filiere che erogano servizi essenziali e che, quindi, possono continuare ad operare.

Esatto, possono. Questo perché lo stesso decreto condiziona l’operatività al rispetto di quanto stabilito nel protocollo nazionale anti contagio dello scorso 14 marzo.

Nulla di sconvolgente. Si forniscono una serie di limitazioni che erano già quasi tutte in vigore in virtù del titolo I D.Lgs. 81/2008 seppur tuttavia, di questi tempi, tenuto anche conto delle specifiche attività lavorative non è detto si possano garantire.

Il protocollo di intesa e il ruolo del Datore di Lavoro

Le regole previste sono, in generale, le seguenti:

  • Se il luogo di lavoro è pericoloso bisogna sospendere l’attività sino a che la stessa non potrà essere ripresa in sicurezza.
  • Non fare accedere al luogo di lavoro persone infette.
  • Rispettare le misure di sicurezza già note quali il distanziamento, evitare situazioni intrinsecamente pericolose quali il sovra affollamento o la scarsa areazione ecc.
  • Una mezza novità: una sorta di sdoganamento delle mascherine come misura di sicurezza assolutamente obbligatoria nel caso non si possa rispettare il distanziamento.
  • Infine, viene richiesta una sorta di organizzazione specifica dell’entrata e della uscita dalle aziende, sempre comunque per rispettare la distanza di sicurezza.

Tutto ciò naturalmente a carico e sotto la responsabilità del datore di lavoro. Come sempre del resto.

Noncé sotto la vigilanza dei RLS e degli organi ispettivi già esistenti. Chiaramente però sotto dimensionati per svolgere una attività del genere.

Cosa fare?

Il datore di lavoro di una azienda che rientra in questo elenco si dovrà quindi porre una domanda: la chiude o procede?

A prescindere dalle considerazioni di politica industriale aziendale. Per esempio se i clienti non ricevono merci posso solo produrre fino a saturazione dei magazzini, poi sono comunque costretto a fermare la produzione.

Ovvero di necessità per il paese. Ad esempio l’industria alimentare, così come l’agricoltura, ma anche le aziende elettriche ecc. non si possono ovviamente fermare. Appare evidente che la decisione di continuare a produrre comporta una seria assunzioni di responsabilità da parte del datore di lavoro.

Tenuto conto che la mortalità non è trascurabile neanche fra i soggetti in età da lavoro, è una responsabilità che il datore di lavoro non può trascurare.

In altri termini, nel malaugurato caso che avvenga un evento mortale fra i lavoratori. Il datore di lavoro dovrà dimostrare di aver fatto tutto quanto necessario per prevenire il contagio. Ma come?

La gestione del rischio tra distanza di sicurezza e altro

A questo punto il rischio di contagio (con esiti non prevedibili) è assolutamente noto a tutti i datori di lavoro. A quanto pare dal protocollo, inoltre, quasi interamente “scaricato” su di loro.

Essendo le misure di prevenzione quasi inesistenti. Il datore di lavoro dovrà dimostrare (ove richiesto) che le misure organizzative. Nonché di protezione adottate sono adeguate.

Naturalmente dovrà vigilare sulla applicazione di tali misure da parte dei lavoratori.

Poiché i biologi ci assicurano che le mascherine non danno una sicurezza “totale”. Non basta assolutamente l’evidenza che tutti i lavoratori sono stati dotati di mascherine e guanti.

Distanza di sicurezza e dimostrazione delle varie misure

Piuttosto bisogna dimostrare che tutte le misure per mantenere la così detta distanza di sicurezza sono state adottate. Ovvero che la necessità dell’uso delle mascherine quale unico presidio di sicurezza è ridotta al minimo.

Quindi è necessario (inevitabilmente, se il datore di lavoro si vuole tutelare) un addendum specifico alla valutazione dei rischi che tenga conto di questi aspetti. A tale proposito, come lascia intendere anche il protocollo, la sanificazione è sicuramente utile ma assolutamente non esaustiva.

Si tratta in pratica di una valutazione del rischio biologico mirata sul tema del virus, che sarà molto diversa da una ordinaria valutazione.

Infatti nelle consuete valutazioni di rischio biologico la fonte del rischio è qualcosa di identificabile a cui il lavoratore si espone, qui la fonte sono invece i colleghi.

Quindi la valutazione deve necessariamente (e forse quasi esclusivamente) concentrarsi sulla organizzazione del lavoro. Specificatamente sulla logistica dei lavoratori durante lo svolgimento dei propri incarichi.

Si potrebbe pensare di partire da una “fotografia” della situazione concreta “ante virus”. Da questa emergeranno le situazioni di rischio sulle quali andranno poi applicate tutte le misure organizzative di mitigazione. Queste poi dovranno essere trasferite in istruzioni operative per i lavoratori.

Infine resta da attuare la informazione e formazione ai lavoratori. Prima di tutto sui principi generali e sull’uso dei dispositivi di protezione.

In seguito anche sulle regole aziendali volte a garantire la distanza di sicurezza e/o l’adozione delle migliori misure di protezione. Per ovvi motivi si dovranno adottare metodi non d’aula ma piuttosto strumenti vari quali documenti cartacei (meglio se corredati di immagini) o informatici.

Conclusioni

Dunque riassumendo:

  • Il protocollo di intesa è un punto di partenza che mette in mano ai datori di lavoro. Comunque unici veri responsabili.
    Una serie di suggerimenti di buon senso per il rispetto del D.lgs. 81/2008 nel caso specifico di questo virus.
  • I datori di lavoro non possono richiamarsi a un generale rispetto del protocollo. Bensì devono valutare come gestire questo rischio in relazione alle specifiche caratteristiche della propria azienda.
  • Ne dovranno quindi derivare precise istruzioni comportamentali per tutti i lavoratori. Nonché per le altre eventuali persone esposte.

Sperando che queste misure siano sufficienti a fare regredire la pandemia (definizione OMS) senza distruggere l’economia.