protocollo di intesa

Protocollo di intesa … un altro punto di vista

Proseguiamo la nostra analisi sul protocollo di intesa siglato su invito del premier Giuseppe Conte con le parti sociali lo scorso 14 marzo. Le imprese potranno fermare i reparti ma anche no, potranno quindi anche continuare come se niente fosse a produrre beni anche non essenziali. Potranno utilizzare ove possibile lo smart working ma anche no.

Il protocollo di intesa per la sicurezza da coronavirus

I lavoratori dovranno accettarlo e farsi carico di rispettare la distanza di sicurezza di un metro, senza essere forniti di mascherine. Il protocollo di intesa prevede che le imprese ovviamente “potranno” fornirle, ma anche no, come potranno fornire ma anche no il disinfettante per le mani: sono tenute a fornire solo il comune sapone, come del resto prima del virus, e provvederanno, in aggiunta, solo a sanificare gli ambienti. Il lavoratore viene però obbligato a “adottare tutte le precauzioni igieniche, in particolare per le mani”.

Il protocollo di intesa prevede che le imprese “potranno”, se vorranno, assicurare un piano di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione con l’obiettivo di diminuire al massimo i contatti. Le imprese “potranno”, se vorranno, rimodulare gli orari di ingresso e di uscita in fabbrica in modo da consentire ai lavoratori di non assembrarsi e rispettare la distanza di sicurezza, ma anche no.

Più in dettaglio

In base al protocollo di intesa a fronte dell’emergenza da coronavirus in Italia i lavoratori “dovranno” comunque lavorare. Assicurando a sé stessi e ai colleghi le condizioni di sicurezza in qualunque momento. Compreso a bordo del mezzo aziendale che li conduce in fabbrica. Compreso mentre si cambiano nello spogliatoio, mantenendo un metro di distanza dal vicino di armadietto.

Se un lavoratore ha i sintomi del virus, più di 37.5 di febbre, l’azienda seguirà il protocollo previsto per i casi di sospetto Coronavirus e “potrà”, durante il periodo delle indagini, sospendere dal lavoro chi ha lavorato a stretto contatto con lui. Così da impedire il contagio di tutti i lavoratori, ma anche no.

Il protocollo di intesa e le mascherine

Quanto alle mascherine e ai guanti, il protocollo di intesa spiega che la mascherina deve essere utilizzata in conformità a quanto previsto dalle indicazioni dell’OMS. Il testo non riporta quali siano queste indicazioni. Andiamole a leggere sul sito dell’Oms, secondo le linee guida aggiornate: “Se non sono previste pratiche che coinvolgano pazienti affetti da Covid-19, non serve indossare mascherine”.

Pertanto, l’azienda dovrà fornire mascherine, guanti, occhiali, tute, cuffie, camici solo se l’attività lavorativa comporta una distanza tra i lavoratori inferiore a un metro. L’attività lavorativa intesa in senso stretto, non il trasporto a bordo del mezzo aziendale, l’ingresso in azienda, la permanenza nello spogliatoio, la mensa.

Anche se, come si legge sul sito del ministero della Salute. L’uso della mascherina aiuta a limitare la diffusione del virus ove “adottata in aggiunta ad altre misure di igiene respiratoria e delle mani”. Ovvero i guanti, il lavaggio con disinfettanti a base di alcol, tutte cose che l’azienda non è tenuta a fornire al lavoratore.

Altre misure

Il protocollo d’intesa prevede che le imprese “potranno”, se lo vorranno, fare ricorso agli ammortizzatori sociali  (cassa integrazione) disponibili finalizzati a consentire l’astensione dal lavoro senza perdita della retribuzione, ma anche no, e continuare a produrre beni che non siano di prima necessità.

I lavoratori dovranno starci. I lavoratori “dovranno”, se l’impresa lo chiede usare le ferie arretrate, e comunque alle imprese si raccomanda di “incentivare” l’utilizzo delle ferie future per stare chiusi a casa, lavorando quest’estate quando vorranno andare in vacanza. Traduco in sindacalese: “Incentivare” ai tempi del Jobs Act e del lavoro precario significa dire “Prendere le ferie”.

Al di là della pulizia degli ambienti. Nonché della fornitura dei mezzi di protezione ai soli lavoratori la cui l’attività preveda una distanza inferiore a un metro.

L’obbligo di proteggersi e proteggere gli altri dal contagio. In base al protocollo di intesa. E’ sostanzialmente scaricato sulla lavoratrice e sul lavoratore. Compresi quelli più ricattabili.

Ad esempio, i precari e i non sindacalizzati. Quelli delle cooperative.

Ancora, le partita iva che lavorano nelle redazioni di giornali e programmi tv. I rider. Nonché i “collaboratori” che puliscono e via così.

Conclusioni

Comprendiamo che siamo in emergenza. Nonché, che questa è una situazione inedita. Che abbiamo sottoscritto accordi scellerati che ci impongono di contenere il debito più che il contagio.

Tuttavia, data l’inedita e drammatica emergenza. Abbiamo fermato il Parlamento e sospeso le elezioni. Fermato la scuola, posticipato interventi chirurgici e sedute di chemioterapia.

E, anche in base al recente protocollo di intesa, non possiamo imporre per legge alle imprese. Come per legge viene imposto ai cittadini di stare a casa. Nemmeno di rallentare la produzione di beni non essenziali in modo da impedire il contagio dei lavoratori?

Non possiamo obbligare le imprese a rifornire i lavoratori di guanti e mascherine? Possiamo smettere di istruire i giovani, vedere i nostri cari, curarci, passeggiare, fare l’amore, ma non di produrre? A questo ci ha condotto il sistema economico che abbiamo adottato come se fosse l’unico possibile?