normativa macchine

Normativa macchine. Come vendere una macchina usata?

Il caso in cui a subire modifiche non è stato il macchinario, bensì la normativa che ad esso si applica è particolarmente frequente, vista la vita media piuttosto lunga di certe macchine, le quali quindi spesso sono state acquistate quando era in vigore una normativa e poi vengono rivendute quando le norme in vigore sono cambiate. Una sentenza di Cassazione aiuta a fare luce sulla problematica in questione.

Inquadramento

Quando tocchiamo il problema legato alla rivendita di un macchinario usato possono verificarsi molte casistiche diverse.

E possibile infatti che quest’ultimo abbia subito da parte dell’imprenditore delle modifiche. Tuttavia esiste anche il caso “simmetrico”. Quello cioè in cui a subire modifiche non è il macchinario. Bensì la normativa che ad esso si applica.

Stiamo cioè parlando di una situazione particolarmente frequente. Tenuto anche conto della vita media piuttosto lunga di certe macchine. Queste ultime spesso sono acquistate sotto il periodo di vigenza di una certa normativa e vengono rivendute in periodo di vigenza di tutt’altra normativa. Esaminiamo entrambi questi casi partendo proprio da quest’ultimo.

La normativa sulle macchine “vecchie”

Il problema si pone in modo del tutto particolare per le macchine acquistate prima del 21 settembre 1996. Cioè prima del recepimento nazionale della cosiddetta “Direttiva macchine”.

Infatti prima di tale data non era in vigore alcuna Direttiva Macchine. Quindi il problema della certificazione non si poneva nei termini odierni. Dopo tale data invece, per le macchine immesse sul mercato, anche in Italia, è divenuto necessario provvedere alla marcatura ce ai sensi di questa direttiva.

In relazione alla sicurezza delle macchine nei luoghi di lavoro tale direttiva richiede il rispetto dei cosiddetti requisiti essenziali per poter immettere sul mercato dell’unione europea una macchina a cui sia applicabile tale direttiva.

Come già anticipato all’inizio, l’effetto del lungo tempo trascorso impatta molto sull’imprenditore che voglia rivendere la macchina a terzi. Questo ha infatti l’obbligo di far certificare la macchina prima di rivenderla.

In tema di normativa macchine tale obbligo si pone anche per le macchine acquistate tra il 21 settembre 1996 e il 6 marzo 2010. Infatti in quest’ultima data è entrato in vigore il D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 17.

Questo è il decreto di attuazione della direttiva 2006/42/ce relativa alle macchine e che modifica la direttiva 95/16/ce detta anche nuova direttiva macchine. In questo secondo caso l’onere certificativo è, per così dire, ovviamente più “snello”. Tuttavia resta comunque in capo al venditore l’obbligo di reimmettere sul mercato una macchina che sia conforme alle disposizioni attualmente in vigore.

Tale principio si scosta nettamente, come si vede, dai principi generali in materia di normativa di prodotto. Questi ultimi infatti sono spesso pensati per governare un’unica immissione sul mercato.

Normativa sulle macchine e sulla sicurezza del lavoro

Analizzando più in dettaglio la questione c’è molto di più. Al susseguirsi nel tempo delle varie Direttive Macchine si affianca infatti la legislazione in materia di salute e sicurezza dei lavoratori.

Sul punto, ricordiamo gli Allegati V e VI del decreto legislativo 81/08 che contengono rispettivamente una lunga serie di “Prescrizioni supplementari applicabili ad attrezzature di lavoro specifiche”. Nonché di “Disposizioni concernenti l’uso di attrezzature di lavoro”.

Ebbene, nel contesto che qui ci interessa, si trasfondono in specifici obblighi del datore di lavoro per effetto degli artt. 70 e 71 del D.Lgs 81/08.

Invero le norme dei citati allegati sono in sé assai antecedenti al D.Lgs 81/08. Queste ultime sono poi state recepite in quest’ultimo con una valenza che vuole essere, per così dire, in certo senso, “residuale”.

Vale a dire estendersi alle attrezzature per le quali non siano previste normative più specifiche. Come del resto ben si conviene a una serie di disposizioni. Quelle, per l’appunto, dell’Allegato V concepite quando il sistema di normative di prodotto e affini praticamente non esisteva.

A quali prodotti si applica la Direttiva Macchine?

Pensando alla normativa macchine il campo di applicazione della direttiva macchine 2006/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006 , relativa alle macchine e che modifica la direttiva 95/16/CE comprende (articolo 1, paragrafo 1):

a) macchine;
b) attrezzature intercambiabili;
c) componenti di sicurezza;
d) accessori di sollevamento;
e) catene, funi e cinghie;
f) dispositivi amovibili di trasmissione meccanica;
g) quasi macchine.

Qual’è la definizione di “macchina”?

La definizione di “macchina” è la seguente:

  • insieme equipaggiato o destinato ad essere equipaggiato di un sistema di azionamento diverso dalla forza umana o animale diretta, composto di parti o di componenti di cui almeno uno mobile, collegati tra loro solidamente per un’applicazione ben determinata,
  • un insieme di cui al primo trattino, al quale mancano solamente elementi di collegamento al sito di impiego o di allacciamento alle fonti di energia e di movimento,
  • insieme di cui al primo e al secondo trattino, pronto per essere installato e che può funzionare solo dopo essere stato montato su un mezzo di trasporto o installato in un edificio o in una costruzione,
  • insieme di macchine, di cui al primo, al secondo e al terzo trattino o di quasi-macchine, di cui alla lettera g), che per raggiungere uno stesso risultato sono disposti e comandati in modo da avere un funzionamento solidale,
  • un insieme di parti o di componenti, di cui almeno uno mobile, collegati tra loro solidalmente e destinati al sollevamento di pesi e la cui unica fonte di energia è la forza umana diretta.

Quindi una macchina deve avere almeno un organo in movimento azionato da una fonte di energia e deve avere una destinazione d’uso ben definita, ovvero deve portare a termine una serie di operazioni tese ad uno scopo preciso.

La fonte di energia che aziona la macchina può essere esterna (elettricità, batteria, combustibile, ecc.) o immagazzinata (molla, peso, ecc.)

Rientrano nel campo di applicazione della direttiva anche gli insiemi di macchine, normalmente chiamati linee o impianti di produzione, e le attrezzature intercambiabili che modificano la funzione principale di una macchina.

L’opinione della Suprema corte

Senonché, dal punto di vista pratico, conviene all’imprenditore tenere sempre d’occhio il “doppio binario”. Cioè da un lato la Direttiva Macchine e la normativa sulle macchine. Chiaramente nella loro successione del tempo chiarita poco sopra. Nonché, dall’altro, dalle norme del D.Lgs 81/08, alle quali la macchina deve sempre e comunque essere conforme, con onere certificativo che grava anch’esso in capo all’imprenditore/rivenditore.

Simile onere è stato del resto recentissimamente ribadito in Cass. Pen (sez. IV) 30 aprile 2020, n. 13483. In tale sentenza la Corte ha definitivamente sanzionato l’operato di un imprenditore.

Quest’ultimo in mancanza di determinate esplicite indicazioni da parte della Direttiva Macchine in materia di ganci di sollevamento, non si era spontaneamente adeguato ai dettami contenuti nell’Allegato VI al D.Lgs 81/08.

Conviene del resto ricordare, che l’INAIL svolge una specifica e piuttosto capillare attività ispettiva in materia di conformità delle macchine.

Tale attività non si limita certo alla fase di una eventuale rivendita. Bensì può attuarsi in qualsiasi momento. Ciò ci ricorda che la triste e diffusa abitudine di… “mettere a posto le carte” prima di rivendere la macchina può rivelarsi estremamente rischiosa. Ogni macchinario infatti deve essere, in ogni momento conforme alla normativa applicabile.

Le normative sulle macchine a luglio 2020

Venendo ora all’altro aspetto del problema con cui abbiamo iniziato questo articolo. Passiamo ad occuparci del caso di vendita di una macchina usata che abbia subito delle modifiche. In tal caso gli obblighi in capo al venditore sono analoghi o quasi a quelli del venditore di professione.

Il principio e la sua (difficile) applicazione sulla normativa macchine

Fondamentalmente un’azienda che rivende un macchinario dopo averlo utilizzato in proprio ha, nei confronti dell’acquirente, gli stessi obblighi che avrebbe un rivenditore autorizzato e/o concessionario.

Si tratta, senza dubbio, di un principio molto difficile da far proprio nella pratica. Il passaggio di proprietà di macchinari tra aziende utilizzatrici avviene spesso in maniera piuttosto informale.

Ciò specialmente se si tratti di beni di piccole dimensioni e/o di molti anni e poco valore. Nondimeno però, il macchinario in questione deve essere anzitutto corredato di tutta la stessa documentazione che lo accompagnava all’atto dell’acquisto del macchinario.

Cioè dunque istruzioni, certificazioni e quant’altro. Fin qui, “basta” aver conservato scrupolosamente quella documentazione. E già questo è un fatto, come tutti sanno, tutt’altro che ovvio.

Dopodiché, si apre un capitolo tutto particolare in relazione alle eventuali modifiche che siano state apportate da parte di chi ora vende. Di esse non v’è ovviamente alcuna traccia nella documentazione ricevuta all’atto dell’acquisto.

Le modifiche alle macchine

In relazione a queste gli obblighi di garanzia nei confronti dell’ulteriore acquirente sono dunque assunti. Volendo usare un’espressione tipica dei diritti reali. Non a titolo derivativo, bensì a titolo originario.

In altre parole cioè, per poter correttamente rivendere il macchinario modificato in proprio, sarà necessario corredarlo di tutta la documentazione relativa alla modifica.

Stiamo dunque parlando della certificazione di conformità. Nonché di tutti i documenti precedenti ed eventualmente conseguenti. Sul punto, è appena il caso di rilevare una cosa. Cioè che tale documentazione deve essere prodotta subito dopo la modifica in questione, e non, in maniera tardiva, frettolosa e inefficace, subito prima della rivendita…

Pertanto quando spesso sentiamo nel corso del nostro lavoro cose di tipo assolutamente errato. Del tipo che la macchina è stata prodotta internamente e viene usata solo internamente e poiché non sarà venduta non è necessaria alcuna attività.

Ovvero che basta un iter “light” (non si sa bene quale) composto solo dalla valutazione dei rischi. Evidentemente chi afferma principi di questo tipo ignora completamente i dettami del D.Lgs 17/2010.

La giurisprudenza e la normativa macchine

Molto severa si dimostra del resto la giurisprudenza in relazione a tali obblighi (Cass. Pen., sez. IV, 12 febbraio 2020, n. 5541).

Per un infortunio derivante dal cedimento del braccio di una gru, è stata infatti ritenuta responsabile non soltanto l’azienda attuale proprietaria e utilizzatrice della gru stessa. Bensì anche l’azienda precedente proprietaria. Quest’ultima aveva infatti malamente modificato la gru in maniera che si è poi rilevata determinante in relazione all’incidente, né aveva corredato il bene venduto della prescritta documentazione.

A nulla è valso il fatto che la rivendita della gru avesse avuto luogo ben sette anni prima dell’incidente. Nonché che la nuova proprietaria si fosse dal canto suo resa responsabile di una difettosa manutenzione.