concetto di rischio

Concetto di rischio e sua valutazione, come procedere?

Andiamo questa volta a valutare con attenzione il concetto di rischio. Cerchiamo di capire quando nasce, perché è importante ed a cosa serve la sua valutazione.

Il concetto di rischio

Se analizziamo l’art. 2 del D.Lgs 81/08 troveremo tutte le definizioni che tornano utili nello studio della tematica sulla sicurezza sul lavoro. Tra queste vi è anche la definizione di “rischio”. Da non confondere con il pericolo e con le relative differenze tra rischio e pericolo.

Di fatto, il rischio è definito come segue:

probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione.

art. 2 D.Lgs 81/08

Questa definizione non è l’unica. Infatti nella UNI EN ISO 12100-1 il rischio è definito come una “combinazione della probabilità di accadimento di un danno e della gravità di quel danno“. Ci sono anche altre norme che definiscono il rischio. Tuttavia, per il momento, concentriamoci sul nostro D.Lgs 81/08.

Da dove partire?

Vista in questo modo la definizione appare un qualcosa di abbastanza complicato. Di certo possiamo dire che si tratta di un qualcosa di probabilistico. Cioè quando parliamo di rischio stiamo parlando di un qualcosa che non è certo ma che, in determinate condizioni, può verificarsi. Pertanto, almeno, abbiamo già fissato una idea.

Il concetto di rischio è legato ad una probabilità di accadimento di una certa situazione. Un po’ come quando si gioca alla roulette. Si punta, ad esempio, sul nero e si avrà il 50 % di possibilità di vittoria.

Dunque non c’è la garanzia che si vinca ma bensì una probabilità. Qualora questa probabilità dovesse concretizzarsi e, quindi, diventare realtà tanto meglio! Vorrà dire che siamo stati fortunati ed abbiamo vinto qualcosa.

Purtroppo però, quando parliamo di sicurezza sul lavoro ed affrontiamo il concetto di rischio una cosa che di certo non dobbiamo e non possiamo considerare è proprio la “fortuna”. Infatti le parole “sicurezza sul lavoro” e “fortuna” non vanno mai a braccetto.

Certo, tante volte capita di sentire che incidenti sul lavoro, anche gravi, sono dovuti al caso o alla sfortuna. Le persone infatti tendono ad addebitare a questi due, non meglio identificati, “personaggi” quanto accaduto. In realtà però, a bene vedere, le cose non stanno quasi mai così.

Il “livello potenziale di danno”

Bene, fissato il primo concetto, cioè quello probabilistico possiamo dire che il meno è fatto. Passiamo ora ad analizzare tutto il resto. Nella definizione si parla di “livello potenziale di danno” e di “condizioni di impiego o esposizione”.

Per comprendere bene il concetto di rischio dobbiamo quindi capire cosa si intende con “livello potenziale di danno”. Anzitutto dunque è bene capire cosa si intenda per danno.

Ebbene per danno, in relazione alla sicurezza sul lavoro, possiamo considerare una lesione fisica. Oppure una alterazione dello stato di salute di un lavoratore. A patto che questa sia derivante da una interazione con un agente avverso presente durante il lavoro.

In tal caso dunque stiamo pensando al danno alla salute che, in via potenziale, potrebbe derivare nel caso in cui la probabilità di cui abbiamo trattato al paragrafo precedente divenisse reale. Cioè si concretizzasse.

Chiaramente, con riferimento al concetto di rischio, possono essere prese in considerazione varie situazioni. Ad esempio si può pensare ad un singolo lavoratore e al relativo potenziale danno o anche ad una moltitudine di persone. Ad esempio, posso pensare ad una esplosione. In tal caso il potenziale danno alle persone può coinvolgere, in funzione della situazione e di una moltitudine di parametri, uno, dieci o anche diverse centinaia di lavoratori o persone.

Come possiamo allora ragionevolmente stabilire se il “livello potenziale di danno” coinvolgerà uno o cento persone? Semplice! Analizzando la specifica situazione in esame. Cioè “le condizioni di impiego o esposizione”.

Le condizioni di impiego o di esposizione

Siamo così arrivati all’ultima parte della definizione che stiamo esaminando. Analizzare le “condizioni di impiego o di esposizione” di fatto vuol dire che quando si andrà a valutare quella “probabilità” ed a stimare il “livello potenziale di danno” questi dovranno tener conto della specifica azienda in cui mi trovo.

Non si tratta per nulla di un concetto scontato! Infatti, se da un lato è più che ragionevole, anzi necessario, tenere presente la specifica realtà lavorativa nella valutazione del concetto di rischio. Di contro, non sempre capita di vedere attività portate avanti nel rispetto di questo principio.

L’importanza delle specifiche condizioni previste nel concetto di rischio

Avete presente quando, probabilmente lo avrete sentito, si parla di valutazione dei rischi “a peso”. Cioè ti “vendo” (per non usare un termine volgare) un bellissimo documento di valutazione dei rischi.

Ricco di immagini e, soprattutto, da ben X-mila pagine! Bhè se il documento è di X-mila pagine vuol dire che sicuramente è fatto bene perché sarà molto completo … ahahaha. Assolutamente no! Non esiste alcuna indicazione che lega un lavoro “ben fatto” con il relativo numero di pagine di cui si compone il documento!

Anzi spesso questi documento non sono altro che il copia – incolla di lavori precedenti. Come si può allora pensare in questi casi di avere un documento specifico e “tagliato” effettivamente sulla propria azienda? Cioè, nell’ambito della gestione dei rischi, come posso pensare di avere una valutazione dei rischi effettivamente legata alle specifiche condizioni di impiego o di esposizione che ci sono nella mia azienda?

Anzi, tante volte, può essere che l’azienda di turno nemmeno sia passata mezza volta a fare uno straccio di sopralluogo. Certo, l’azienda in questione sicuramente non è molto seria.

Senza voler difendere nessuno né entrare nel merito della questione. Pensiamo però che sarete d’accordo con noi se ci permettiamo di dire che, d’altra parte, anche il datore di lavoro che si affida a chi “sforna” un documento a duecento o trecento euro, nella migliore delle ipotesi è tanto, ma tanto, “ingenuo” se pensa poi di avere anche un lavoro “ben fatto”.

Le insidie a cui si può andare incontro

Ora dal momento che, gente aprite bene le orecchie, l’unico e solo responsabile del documento di valutazione di rischi è e sarà sempre il datore di lavoro. La domanda è semplice: “vi conviene davvero?”. Siamo certi che sapete benissimo valutare la situazione e quindi conoscete già la risposta.

La verità è che, di fondo, c’è bisogna di una vera e propria “cultura della sicurezza“. Solo grazie a questa sarà possibile prendere le scelte giuste e procedere per il meglio. Certo, non è facile però grazie ai continui progressi culturali degli ultimi anni siamo certi che col tempo le cose potranno migliorare puntando sempre più sui giovani e se tutti faranno la propria parte.

Si pensi infatti che solo qualche anno fa non si insegnava la sicurezza sul lavoro a scuola. Invece oggi questo è realtà.

Con questo concludiamo per ora l’articolo sperando di aver ben chiarito cosa si intende col concetto di “rischio”. Come dite? La sua valutazione?

Avete ragione! Non abbiamo minimamente parlato di come procedere nella sua valutazione. Purtroppo però lo spazio a nostra disposizione è finito. Vi promettiamo che ne parleremo in modo specifico in un altro articolo più avanti, per cui, continuate a seguirci ed iscrivetevi alla nostra newsletter per restare aggiornati!