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Interpello 1 del 2020: formazione attrezzature

Un interpello posto dalla Regione Friuli-Venezia Giulia è stata l’occasione per fornire alcuni interessanti chiarimenti. In particolare si analizza la figura del datore di lavoro e la relativa abilitazione all’uso delle attrezzature. Condivisibili? Sul piano prettamente giuridico, sì, ma il vuoto normativo in materia è evidente e poco comprensibile

Gli studi compiuti sul fenomeno infortunistico hanno consentito di rilevare, a più riprese, che una delle cause più frequenti degli incidenti è l’assenza delle necessarie e sufficienti competenze nell’utilizzo di alcune attrezzature di lavoro di largo impiego come, ad esempio, i carrelli elevatori.

La formazione del datore di lavoro

Per questo motivo, quando nel 2008 fu varata la riforma con il cosiddetto testo unico della sicurezza, si pensò d’introdurre un nuovo regime più stringente per alcune attrezzature considerate a maggior rischio, con la previsione dell’obbligo dell’abilitazione da parte degli operatori.

Tuttavia, nel corso degli anni, sono nati dei dubbi sulla corretta applicazione della normativa e, quindi, si è arrivati a questo interpello.

In particolare, l’art. 73 ha previsto la cosiddetta “patente” sulla base di quanto stabilisce l’accordo Stato-Regioni 22 febbraio 2012, con il preciso obiettivo di garantire, non solo la tutela dei lavoratori, ma anche di quella dei terzi e, per questo motivo, il campo di applicazione soggettivo di questo regime è particolarmente ampio, in conseguenza anche della novella del D.Lgs. n. 151/2015, che lo ha esteso anche al datore di lavoro.

Proprio l’utilizzo di queste attrezzature da parte di quest’ultimo soggetto recentemente è finito sotto la lente d’ingrandimento del ministero del Lavoro con l’interpello 23 gennaio 2020, n. 1 (interpello 1 del 2020), in cui sono stati forniti alcuni interessanti chiarimenti in ordine alle sanzioni applicabili in caso della mancata abilitazione da parte del datore di lavoro che, come vedremo, se risultano condivisibili sul piano prettamente giuridico mettono in luce, però, anche l’esistenza di un vuoto normativo francamente poco comprensibile.

Interpello 1 del 2020: il tema

L’intervento ministeriale nasce da un’istanza presentata dalla Regione Friuli Venezia Giulia, ai sensi dell’art. 12, D.Lgs. n. 81/2008, nella quale ha chiesto di sapere in virtù della «parificazione di fatto» del datore di lavoro al lavoratore un aspetto importante.

Cioè il quesito posto con interpello vuole conoscere se in caso di omessa abilitazione del datore di lavoro all’utilizzo di attrezzature di cui all’art. 73 comma 4 debba essere ascritta allo stesso la sanzione prevista dall’art. 87 – comma 2, lettera c), del D.Lgs. 81/2008.

Questo in riferimento alla violazione di cui all’art. 71, comma 7, lettera a), del medesimo decreto in relazione ai rischi che come un qualsiasi altro lavoratore potrebbe indurre ai terzi.

Appare evidente che l’origine dell’ interpello deriva dalle difficoltà interpretative di queste disposizioni, emerse probabilmente in sede ispettiva.

Queste non sono di poco conto in quanto nella prassi professionale sono molte le imprese. Specie di micro e piccole dimensioni. Nelle quali è lo stesso datore di lavoro a utilizzare direttamente attrezzature di lavoro, ormai, d’impiego comune all’interno dei luoghi di lavoro come muletti, PLE, gru ecc.

Se è chiaro, quindi, che anche il datore di lavoro rientra a pieno titolo nella definizione di “operatore” contenuta nell’art. 69, comma 1, lett. e) del D.Lgs. n. 81/2008, per l’istante non lo è altrettanto il regime sanzionatorio nel caso in cui lo stesso datore di lavoro utilizza queste attrezzature, senza avere regolarmente frequentato i corsi previsti dal già citato accordo Stato-Regioni 22 febbraio 2012 e conseguito, quindi, la prescritta abilitazione.

Conclusione

Per oggi ci fermiamo qui. Clicca sul pulsante di seguito per scaricare l’interpello.