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Prassi scorrette: salvo il datore di lavoro ignaro

Non è responsabile chi non conosce le prassi incaute. L’intervento della Cassazione su un caso di infortunio per uso improprio di macchinari. Il rapporto di dipendenza del personale di vigilanza dal datore di lavoro non costituisce di per sé prova né della conoscenza né della conoscibilità di pratiche aziendali incaute.

Salvo il datore di lavoro ignaro delle prassi aziendali incaute adottate dei propri dipendenti. Infatti, non scatta la responsabilità datoriale per infortuni derivanti dalla disattivazione delle protezioni a corredo di macchinari, anche laddove tale rimozione si innesti in prassi aziendali diffuse o ricorrenti. Quindi, non si può ascrivere tale condotta omissiva al datore di lavoro laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza dell’atteggiamento incauto dei dipendenti o che lo avesse colposamente ignorate. Inoltre, il fatto che in azienda ci fosse l’abitudine di disattivare i dispositivi di sicurezza sugli attrezzi e che il personale di vigilanza ne fosse a conoscenza, non può far presumere che tale pratica fosse nota anche all’imprenditore. A stabilirlo è la Corte di cassazione con la sentenza n. 20833 del 15 maggio 2019.

La vicenda e le scorrette prassi in uso

I giudici della Suprema corte si sono espressi in merito all’accusa subita da un datore di lavoro, per lesioni personali colpose ex art. 590 cod. pen., ritenuto reo di aver violato le norme di messa in sicurezza dei macchinari ai fini della prevenzione degli infortuni sul lavoro, come previsto dall’art. 71, comma 4, lett. a) del D.Lgs 81/08. A seguito di un incidente in cui il dipendente aveva subito l’amputazione della falange del terzo dito della mano destra, con prognosi superiore a 91 giorni, il lavoratore lamentava di aver lavorato su un macchinario privo del dispositivo di sicurezza all’atto dell’infortunio, nonostante l’attrezzo fosse dotato di un sistema idoneo a impedire che le mani potessero passare all’interno dello scivolo e giungere così alla lama. Il lavoratore, ritenendo il datore di lavoro responsabile dell’infortunio occorso, aveva agito per vie legali.

Corte d’appello

I giudici della Corte d’appello, nel confermare la pronuncia del Tribunale di Milano, condannavano il datore di lavoro alla pena di cui al’art. 590 cod. pen., giudicandolo colpevole per non aver adeguatamente adottato le misure di prevenzione sul macchinario. I giudici di merito sottolineavano come l’utilizzo della macchina avveniva correntemente a protezione rimossa e quindi vi fosse in essere una prassi operativa scorretta. Il datore di lavoro, in qualità di soggetto obbligato a garantire il rispetto delle disposizioni in tema di sicurezza del lavoro, non aveva ottemperato alle suddette prescrizioni.

I motivi

Il datore di lavoro impugnava la sentenza e ricorreva in Cassazione. A detta del ricorrente, i giudici di merito non avevano tenuto in considerazione alcuni elementi fondamentali emersi nel giudizio: per esempio la complessa operazione di rimozione delle viti con le quali era fissato il dispositivo di protezione, o l’asserita carenza di formazione del lavoratore, smentita poi nei fatti dalla presenza di attestati di partecipazione a corsi specifici. Inoltre, il datore di lavoro evidenziava come il dispositivo di sicurezza venisse materialmente rimosso in maniera occulta dai lavoratori stessi e ciò costituiva una prassi operativa a lui ignota. Tesi, questa, sostenuta dalle dichiarazioni del teste il quale affermava di aver quasi sempre operato sulla macchina con le protezioni inserite e che, se veniva visto operare con le protezioni smontate, veniva redarguito dagli addetti al controllo.

La sentenza

I giudici della Suprema corte, analizzati i motivi del ricorso, hanno ribaltato le sentenze di primo e secondo grado di giudizio. Secondo gli ermellini non si ravvisa in alcun modo la certezza che il datore di lavoro fosse realmente a conoscenza del fatto che i dipendenti disattivassero ricorrentemente, o perlomeno in modo non episodico, il dispositivo di sicurezza. Pertanto, hanno affermato i giudici di legittimità, nel caso di infortuni derivanti dalla rimozione delle protezioni a corredo dei macchinari, anche laddove tale rimozione si innesti in prassi aziendali diffuse o ricorrenti, non si può ascrivere tale condotta omissiva al datore di lavoro qualora non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza di tale prassi.

Infine, l’assenza di responsabilità datoriale sussiste anche nel caso in cui gli addetti alla sorveglianza fossero a conoscenza della rimozione occulta del sistema di sicurezza, poiché il rapporto di dipendenza del personale di vigilanza dal datore di lavoro non costituisce di per sé prova né della conoscenza né della conoscibilità, da parte di quest’ultimo, di pratiche aziendali (più o meno ricorrenti) volte a eludere i dispositivi di protezione presenti sui macchinari messi a disposizione dei dipendenti.

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Articolo tratto da ItaliaOggi